C’era una volta in un regno lontano lontano lontano, una futura Regina di anni trentatré dai denti perfetti, un taglio di capelli perfetto, delle gambe da urlo e il cervello più piccolo del mondo. Non è forse anche un bisogno politico pensare che se una è già fantasmagoricamente bellissima allora un po’ scema lo deve essere? Sapete che rivolte se non lo si pensasse? Ve li immaginate i cortei di protesta tra femmine inviperite che lo sanno tutti che non c’è nulla di peggio della competizione femminile..

insomma che la nostra eroina non sia un fulmine di guerra, non sarebbe un problema se non fosse per un piccolissimo particolare:
il regno di cui parliamo è popolato solo da menti brillanti, l’intelligenza è un patrimonio pro capite equamente distribuito tra ogni gente del volgo.
Insomma, parliamo di un reame in cui laddove si crea un luogo di incontro (parrucchieri, estetiste, giornalai, tram.) sfociano dibattiti filosofici, si elaborano teorie quantistiche e molto altro ancora.
In tutto questo marasma di parole altisonanti, concetti pregni, teorie ficcanti la nostra Piera aveva una sola passione che le impediva di vivere appieno la frizzante vita culturale del suo regno: Filastrocche.
L’unico suo divertimento era passare intere giornate con il suo fido amico, il pitone Pietro, inventando filastrocche in rima baciata; peccato che la nostra cara principessa le rime non fosse capace di farle!
Ma lei non demordeva e ogni singolo giorno dopo un’abbondante colazione con al guinzaglio il fido e spossato Pietro si rimetteva all’opera!
E dopo ogni singola creazione di ogni singolo giorno, prendeva una busta in cui infilava le parole sudate e (ogni volta) con il cuore in gola vi apponeva l’indirizzo – ‘Giornale della Cultura’, all’attenzione del Gentilissimissimo Prudenzio Del Ponte Pendulante – Caporeddatore. Poi a fine giornata usciva con le sue 50 buste (si, avete capito, 50 filastrocche, senza rima, al giorno creava!) ognuna contenente una e una sola filastrocca, si faceva portare dal cocchiere nel regno a fianco, e da li inviava il tutto in forma anonima; ça va sans dire, Prudenzio (membro dell’accademia della Crusca, due dizionari all’attivo di una brillante carriera culturale) neanche le leggeva queste ‘opere’. Ne era disgustato: aveva smesso alla seconda busta, anzi aveva già sporto denuncia a ignoti per stalking e mancanza di pudore.
Pasquale il re, nominato al Nobel per la scoperta della struttura quantistica del frullato di banana e Pina, la regina, i cui testi di criminologia junghiana vengono ancora adesso utilizzati in tutte le università americane; beh loro erano disperati. Guardavano la loro figlia amata e se ne vergognavano: vedevano un essere umano senza curiosità, senza friccicore intellettuale. Oh, che vergogna! Come potevano farla maritare? Come avrebbe potuto rappresentare il regno?
Poi successe che il re si ammalò e la regina decise che era tempo di smettere la faticosa fatica di regnare; era ora che se occupasse la figlia. Possibilmente non da sola. L’unica soluzione era sposarla ad un uomo di cultura, un uomo che potesse parlare per lei, pensare per lei. Un intellettuale, un rigoroso, una mente brillante la cui luce offuscasse l’ignoranza della Piera. E chi meglio di Prudenzio del Ponte Pendulante? Il re ne aveva stima e la regina adorava la sua intelligenza astringente e aristotelica!
E così fu.
Fu che il re padre lo convocò a corte e per il bene della patria e la pace perpetua gli ordinò di sposare la figlia e di concepire un erede intelligente senza se e senza ma.
E per amor di patria, Prudenzio accettò pur senza aver mai visto né aver mai sentito parlare della principessa, che non vide fino il giorno del matrimonio.
Dovete sapere che il re e la regina, la notte prima di convocare Prudenzio in gran segreto, indirono una riunione di massima importanza con obbligo di presenza per tutti coloro che lavoravano e vivevano nel castello: qui fu articolato il piano diabolico grazie al quale il nostro Prudenzio non si sarebbe accorto della stupidità della consorte fino alla prima notte di nozze! Chiunque avrebbe dovuto impedire ai due di comunicare, di parlarsi, ‘manco un buongiorno eh, mi raccomando!‘. Furono create scorte di sicurezza per evitare incontri fortuiti e venne acquistato uno stormo di pappagalli amazzoni di modo che il loro fragoroso canto avrebbe impedito ogni forma di comunicazione: ‘meglio che lui la guardi da lontano anelando un suo sguardo, immaginandosi lunghe discussioni piuttosto che la conosca, ci parli e capisca di non volerla!’
Così fu che dopo quarantacinque giorni, milioni di fiorini in pappagalli bianchi canterini, un reame in festa, litri di vini d’annata arrivò il giorno delle nozze.
Piera era bellissima e affranta ma per il bene del regno si sarebbe sposata, suo padre era stata chiaro e nulla aveva potuto la sua tristezza vestita di bianco, gli occhi lucidi, le labbra tremanti mentre si incamminava per la navata al braccio di un re spaventato. Prudenzio era incantato da tanta beltà e per la prima volta non aveva parole adatte a spiegare la l’attonità incredulità che gli nasceva nella pancia per poi implodere nei polmoni. E mentre lui cercava almeno una parola, lei si lambiccava per trovare una rima con bouquet. In cinque minuti erano marito e moglie, giusto il tempo di dirsi un ‘si certo che si!!!’ esile e tremante.
Poi ci fu la cena in cui gli vennero assegnati tavoli separati con la scusa che la principessa dovesse stare con le damigelle appena assegnatele per conoscerle meglio mentre il neo-principe dovesse conoscere a fondo i maghi e i filosofi di corte.
Dopo la cena, i discorsi dei regnanti, le lacrime per il passaggio di trono da loro, i vegliardi, ai nuovi virgulti del futuro… dopo tutto ciò essi, i nuovi virgulti del ‘futuro, del pensiero, coloro che daranno nuova linfa vitale al regno’ vennero letteralmente issati sulla mongolfiera reale attorniati e circondati da damigelle, maghi, pensatori, le migliori menti del secolo, i macchinisti e sette pappagalli melomani.
Quando tutti furono saliti e si furono messi in mezzo tra Piera e Prudenzio, quando tutti furono sicuri che neanche un ciao sarebbero riusciti a dirsi, la mongolfiera partì verso i mari della Puglia dove avrebbero trascorso la luna di miele.
Tutto seguiva il piano, tutti erano felici, i due sposi non riuscivano quasi neanche a sfiorarsi con le parole fino a che.
Fino a che…
una coppia di aquile reali decisamente infastidite dalla cacofonia prodotta dai pappagalli bucò con fiero cipiglio la mongolfiera che precipitò in mare.
Ammarati e amareggiati tutti si ritrovarono tra onde e flutti e nessuna terraferma in vista. Va da sé che l’umore cambiò repentinamente e inequivocabilmente virando verso i singhiozzi, lacrime e disperazione. Anche le grandi menti, signori e signore, di fronte all’ineluttabilità della perdita si disperano e a volte serve a ben poco conoscere i nomi dei venti e il nord e il sud e i buchi neri se poi ti ritrovi nel mezzo del nulla. A discolpa di questi intellettuali blasonati bisogna dire che tutti si ingegnarono a predire tempistiche, predisporre piano, suddividere acqua dolce, definire traiettorie. Eppure, il panico dilagava fino a sfociare in una rassegnata melanconia, sguardi perse, mezze parole, sussurri fatali.
Dal canto suo Prudenzio si stava concentrando per trovare una soluzione (‘vediamo dare fuoco al pallone per farsi vedere non è una buona idea che magari poi si propaga e poi dove li trovo dei cerini così potenti? E poi farsi vedere da chi?’) quando tutto ad un tratto incrociò lo sguardo della moglie e fu colpito dalla sua calma serena e dal sorriso con cui cullava il suo pitone piangente.
‘Mia Regina che stai facendo?’
‘Cerco Rime, ma non ne trovo. È il mio gioco. Sai il mondo è un luogo troppo serio; nessuno canta più filastrocche, nessuno sorride senza un reale motivo. Ed è un peccato perché cantare, ridere è un gioco e giocare aiuta ad affrontarla la vita e non è vero che giocare è facile. Il gioco è crudele, ha regole e se non le rispetti perdi, un po’ come scrivere una filastrocca e non trovare la rima: niente rima niente filastrocca. Il gioco aiuta a fare la pace con la perdita, aiuta a imparare a lottare e a ridere. La vita è troppo corta per prendersi troppo sul serio. E io non voglio dimenticarlo.’
Non sono in grado di raccontare lo sconquasso che crearono queste parole al nostro eroe, ma posso dirvi che all’inizio fu come un piccolo tremore (ecco chi è la mia stalker dalle rime mancate!), poi un salto dell’intestino tutto nel comprenderne il significato di tutte quelle parole ed infine una sensazione di… di… I.D.I.O.Z.I.A. Esatto si sentiva un idiota perché la sua femmina, la sua donna, la sua regina aveva ragione! Che il gioco abbia inizio quindi!
‘Abbaiare, no abbacinare, anzi abbarbagliare!’
‘Ma questi sono tempi infiniti, Prudenzio! non posso mica scrivere un mare abbacinare? ti pare? Una parola…’
‘Scusa mio sole ora mi concentro, nessuno ci può dare una mano?’
Fu così che in meno di quindici minuti quindici tutti parteciparono alla ricerca della rima perfetta, alla costruzione della filastrocca perfetta e si divertirono pure e risero risero risero così tanto che un peschereccio, attirato dalle risate li trasse in salvo.
Beh, come finisce lo sapete no? Finisce che una principessa stupida tanto stupida non era, che un pensiero diverso non è sempre tanto sbagliato e che la realtà non è una e tantomeno trina ma è multicolor e multifacce e che il nostro Prudenzio se ne accorse appena in tempo per evitare di diventare un povero vecchio noioso e incartapecorito.
Insomma, vissero felici e contenti e scrissero milioni di filastrocche.