” (…) che poi lo sai Mademoiselle qual è il mio problema? che forse poi alla fine è lo stesso problema di tutte queste persone che ci sfiorano, si mangiano con lo sguardo e poi scappano? È che ci siamo dimenticati che la parola è carne, la parola è radicata nel corpo e parlare ferisce, guarisce, lenisce, inciampa, arranca. Che ne abbiamo bisogno almeno quanto necessitiamo di bere. Che salva. Perdona. Annienta, anche. Che la parola si fa verbo e non dimentica.
Noi trattiamo i nostri pensieri e li lanciamo nel mondo come fossero moneta corrente: tieni ti dico questo così ti colpisco abbastanza da diventare quasi interessante, ti regalo il mio bisogno di essere unico con i miei pensieri banalizzati quell’etto abbondante da essere condivisi; cancello lo stupore e condisco con olio e acidità quanto basta. Un po’ come diventare la caricatura di sé stessi, la puttana dei propri bisogni.
E poi.
E poi ci dimentichiamo di stupirci per stupire, di riflettere sul mondo per riflettere il mondo manco fossimo uno specchio, che tra parentesi come specchio valiamo ben poco.
E io sono stanca. Sono stanca di essere schiava del mio desiderio di piacere, di essere fica q.b., di desiderare di essere al centro dell’attenzione.
Ho voglia di parole che significano e pensieri che parlano come scriveva la buona anima della Marylin. (…)”
