
(..) Che fare se nel tuo sguardo leggo l’infanzia della mia spossatezza e nelle tue rughe anticipo le mie lacrime? Che fare se malgrado tutta la mia armatura riesci ancora a uccidermi con la sola piega della tua bocca? Ti guardo e mi spezzo. Cerco di baciarti, di parlarti, di abbracciarti e non importa quanto le mie mani ti accarezzino, le mie labbra ti scaldino: sei sempre troppo lontana. Poi torno a casa, mi specchio con in mano uno spazzolino, lo brandisco alla ricerca di una soluzione e tutto che quello che incontro sono la piega del tuo sguardo e l’antico ricordo di una mancanza. Ti ho visto sanguinare da sempre, ho accompagnato le tue parole di sale per tutta la vita e questo ho imparato: a salare le ferite, a rompermi le dita, a chiederti scusa. In te rivedo la mia futura me. E muoio di dolore per noi. (…)