Ho passato questi ultimi 39 anni a riempire gli interstizi vuoti delle pause tra le parole degli altri; parlare parlare per dimostrare a tutti, a me per prima, di essere abbastanza. Abbastanza simpatica da meritare di essere presa in considerazione, abbastanza sarcastica da lasciare senza fiato, abbastanza intelligente da volere accanto. In tutte queste parole, però, mi sono persa e ho perso. Ho perso gli altri. Ho erto muri, dissestato possibilità con l’acido muriatico di troppe parole, troppi racconti.
Io, sa Mademoiselle, ho una teoria per tutto, una spiegazione per ogni azione, un aggettivo per ogni nuova percezione. Lungo questo cammino, però, troppo occupata a correre in tondo al mio bisogno di accettazione, non mi sono accorta che ho perso dei pezzi. Ho perso me stessa svenduta in favore del mio bisogno, peraltro mai raggiunto, che (e cosa glielo dico a fare, amica mia) se non ti ami e non ti tratti con rispetto come puoi pensare che lo facciano gli altri? Non è che sono nata ieri e che non ci fossi arrivata ma forse non ero giunta, alla realizzazione di quanto io non mi ami. Devastante. Beh, cara, non sono venuta qui oggi per piangere (che per inciso non faccio d circa tre anni) ma per chiederle (e so che lei lo sa, lei deve saperlo!) come si fa a ricominciare e a iniziare ad amarsi.
Come si fa? Un corso online di qualche counsellor? Un coaching rinforzato con psicodinamica applicata? un training sulla coltivazione delle rape albine? Yoga e microrazionimillimigrammate di lsd come in silicon Valley? la do a tutti per sentirmi dire che no, mica sono vecchia, e che c’ho i miei pregi? mi rifaccio faccia e tette?
Gina, basta. Sicuramente tutte queste cose potrebbero farti passare il tempo, conoscere gente e raccogliere qualche orgasmo, potresti divertiti (ah dal Counselling io consiglio almeno una roba a gruppo tipo ‘anonimi disamorati di sé’ che un one to one..). Ma se hai bisogno di te stessa, di vederti, annusarti e amare quello che guardi (che sei tu Gina mia), forse prima di tutto dovresti perdonarti.
Poi, dopo, piano piano, a tentoni, fare delle cose; la costruzione di un rapporto richiede tentativi, impegno, rispetto dei tempi e tu, ora, devi ricostruire il rapporto più importante: quello con te stessa. Ora che ne dici di un buon caffè e qualche pettegolezzo? Senti ma che è accaduto a Grignani, che nel palazzo e su Facebook non faccio che leggere e sentire commenti molto accorati per il giovane?

Mi è venuta da tempo a noia questa narrazione del “volersi bene”: perché dovrei, so di di non essere granché amabile. Mi conosco abbastanza, insomma, e mi accetto.
Trovo un po’ melodrammatico anche “perdonarsi” per gli errori più o meno gravi, lo sostituirei un più sobrio riconoscerli e magari ricordarsene per evitare la ripetizione dei peggiori.
Trovo noioso, in generale, l’eccesso di attenzione su se stessi. Ci sono tante cose fuori di noi a cui rivolgerla, di solito più interessanti.
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Ognuno è assolutamente libero di annoiarsi come vuole e quanto vuole. Fondamentalmente, ognuno applica la propria tecnica di sopravvivenza e riconoscimento come meglio crede e quando vuole.
L’interesse di qualcosa dipende dallo sguardo e di fatto non giudico quanto i miei personaggi siano interessanti; raccontano sfacettature, pensieri o tremori. Non è un palco in cui devi essere interessante, è uno stralcio di monologo in cui viene tirato fuori un dolore: ad ognuno il suo dolore, come vuole, dove lo vuole, anche qui (parafrasando la poetessa Antonia Pozzi).
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