Viola, la verità e i suoi angoli acuti

Viola ormai sapeva come la verità si nascondesse negli angoli acuti dei sospiri, e che ogni tanto facesse capolino tra gli sguardi proprio nel momento in cui gli altri si distraevano: ecco, si, ecco che lei usciva un secondo dalla ghiandola lacrimale per vedere se era il caso di esserci anche lei, in quei discorsi. E poi, sistematicamente, decideva che no, non era il caso. Non che la verità sia una codarda. No. Per niente e Viola lo sapeva bene. Era solo che era delusa. Vedete ci aveva provato mille volte a uscire, a parlare, a raccontarsi per diventare ordito di un qualcosa di diverso, ma nulla. Beh, lo sapete no? Nessuno ha davvero voglia di sapere cosa cela la tua rabbia, di sentire quello che hai da dire perché tutti credono già di sapere quello che stai per pronunciare e si annoiano in anticipo, al ché mettono il pilota automatico e bla bla bla. E Viola in quei momenti si ritrovava che voleva sparargli, a quelle facce di formaggio, a quei cervelli liofilizzati, scuoterli, picchiarli, farli sbranare perché, a suo avviso, non c’è colpa più grande di un disinteresse disinibito. E allora eccola che li salutava e si metteva a camminare per ora gridando: “ma mi hai chiesto come sto, no?? e allora perché non ti prendi la responsabilità della tua domanda? Io devo rispondere come sto, no??? perché??? ti conosco da 20 anni e non posso dirti la verità? e tu NON ti aspetti la verità??
Poi un giorno capì che pochi hanno voglia di ascoltare, che per ascoltare ci vuole quel non so ché di caldo e avvolgente, una matassa liquida nello stomaco, che siamo esseri così rachitici e patetici che per ascoltare dobbiamo volere bene per davvero e fino in fondo e anche li potremo avere dei problemi (l’intelligenza emotiva media è statisticamente un fattore in sfracelo). E quindi semplicemente nascose le sue verità come fiori che hanno bisogno del massimo riserbo e, a volte, la usò come una spada, affilata e assetata di vendetta.
Viola però ora aveva paura, aveva paura di dimenticarsene.

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