“Buongiorno Mademoiselle, prende anche lei il 14?
Io solitamente no, ma oggi è il mio compleanno e sto andando dal parrucchiere.
E sa, ogni tanto ci vuole. E poi. io. oggi. faccio. quaranta. anni. Quindi ho bisogno di un colore pregno, di una frangia che sottolinei gli occhi di femmina saggia e ferita e felice e tristissima e un volto, che quando mi guarderò allo specchio possa riconoscere come la mia storia. Si lo so, lo so che non serve un parrucchiere per riconoscersi, ma la sa, la verità? Non mi interessa.
Ho impiegato quarant’anni per capire che la mia storia me la faccio io.
Ne impiegherò, se mi va bene, altri dieci per trovare il coraggio di farmela, questa storia. Ma se c’è qualcosa che ho capito è che ognuno ha i suoi tempi e un grasso ridondante chissenefrega al mondo non solo è liberatorio, a volte è necessario.
Eh si, vede ho impiegato quarant’anni ad amare il vuoto pneumatico delle domeniche pomeriggio senza andare in panico e sentirmi l’essere più solo del mondo; quarant’anni ad alzarmi la mattina senza il disfattismo dei rotolini di ciccia che avanzano manco fossero i ghiacciai perenni; quarant’anni ad imparare ad ascoltare gli altri senza farmi ingerire dalle loro certezze; quarant’anni di nascondino con i grigi e meno grigi delle emozioni, a tagliare con il bisturi le mie inettitudini per arrivare ad una sorta di requie; quarant’anni a capire che non si spreca l’amore, che non si possono rincorrere le chimere se non ci credi abbastanza, che non puoi inseguire un bacio, che non si prende al lazo un sorriso ma se non arriva, vabbè, è stata una grande avventura. Che alla fine le mie più belle avventure sono stati i tentativi di conquista, le rincorse all’ultimo; la prima volta con il primo amore in una Londra agostina, in una casetta condivisa in otto, amici e meno amici, in un pomeriggio senza particolare bellezza, un così niente di che da gettarmi nel panico e nello scoramento; la fine di quel sogno d’amore architettato con tutti i crismi senza prendere in considerazione che il lui era già volato via e il cuore che si spezza e io che mi piego nel bagno di una stazione con il dolore più doloroso perché il rifiuto spezza le gambe e taglia la pancia. Quarant’anni ad imparare che l’amore è scelta e che a te, anche se tu lo vuoi con tutta la volontà, lui macari, non ti ha scelto e allora ti sdilinqui nel rendiconto dello spreco di giorni di pensieri, ore di volontà lanciate nel vuoto ma sei forte, lo siamo tutti, e in questi quarant’anni ho scoperto che il dolore, la perdita non mi hanno ucciso, non uccidono: ho imparato che non è sempre vero che il dolore rafforza o migliora ma sicuramente può cambiarti, nel bene o nel male ma questo dipende da te oppure no: questo mi sa che ho bisogno di almeno altri vent’anni per capirlo.
Ho impiegato quarant’anni per accettare il mio occhio dalla forma a pesce lesso e capire che mi dona lo smokey eyes che ci metto così tanto nero da farlo apparire nel pieno del suo blu/azzurro/grigio.

Non ci sono ancora arrivata a piacermi tutta e tanta ma adesso, dopo quarant’anni ho pochi fulgidi giorni in cui mi trovo bella; ho impiegato quarant’anni a fare pace con il mio buco nero nell’anima e il richiamo alla terra; impiegherò probabilmente altri quarant’anni a perdonarmi il mal di vivere e a imparare a farmi la manicure e pure una messa in piega.
Ma oggi sono qui sul 14 verso un nuovo parrucchiere, un sassolino in più nella scarpa, un pizzico del disincanto e della ironia che mi servono e sono serviti a seppellire quella ventenne insicura, biondissima, procace e spaventata e a far nascere questa femmina contusa e confusa ma che, alla fin della fiera, mi piace tanto.
Che fa Mademoiselle , viene con me a prendere un caffè?”